La paura, insieme a tristezza, gioia, disgusto e rabbia, è una delle emozioni primarie degli esseri viventi. Sorge quando si attiva l’istinto di difesa (stato di allerta) di fronte a un pericolo o a una minaccia, che sia reale o immaginaria, con l’obiettivo di far sopravvivere l’individuo.
Dove e come nasce la paura?
La risposta alla paura ha origine in una regione chiamata amigdala, una piccola struttura cerebrale situata nel lobo temporale del cervello, responsabile dell’elaborazione degli stati emozionali, della formazione e della memorizzazione dei ricordi associati a eventi emotivi, delle reazioni di ansia e paura e del controllo del dolore e dell’aggressività.
Da qui, tutte le volte che ci troviamo di fronte a uno stimolo che è interpretato come minaccia, parte una complessa reazione a catena: vengono rilasciati ormoni dello stress, si attiva una parte del sistema nervoso (il sistema nervoso simpatico) coinvolto in quelle funzioni definite di «attacco o fuga».
Il cervello entra in uno stato di allerta, la concentrazione è sul pericolo che si sta vivendo e tutto il corpo si prepara ad affrontarlo: le pupille si dilatano, il respiro accelera, aumenta la frequenza cardiaca e di conseguenza la pressione. Viene mandato più glucosio ai muscoli, mentre organi non vitali, come il sistema gastrointestinale, vengono messi in uno stato di ridotta attività.
Allo stesso tempo, altre aree del cervello, in particolare l’ippocampo e la corteccia prefrontale, valutano la minaccia: la parte «pensante» del cervello chiede alla parte «emotiva» se si tratti di un pericolo reale oppure di un falso allarme. Nel primo caso la risposta continua a essere alimentata, altrimenti si ferma.
La paura nella storia
Tornando ai tempi dei nostri antenati, si intuisce il valore adattivo di questa emozione: la paura ha protetto i nostri avi in situazioni di pericolo, come la presenza di predatori feroci o individui ostili. Seppure oggi, gli stimoli percepiti come “minacciosi” non siano più paragonabili a quelli del passato – riguardano ad esempio la perdita di un lavoro, un cambiamento di vita o il sommarsi di problemi quotidiani – le reazioni generate a livello corporeo sono rimaste inalterate.
La paura conserva dunque nel tempo sempre la stessa funzione: mettere l’uomo in guardia dai pericoli.
Le tappe di sviluppo della paura
Gli esseri umani nascono con due paure innate: la paura di cadere e la paura dei rumori forti. Derivano dall’istinto di autoconservazione, mentre altre possono essere legate alla crescita, apprese in seguito ad eventi traumatici o indotte dall’ambiente di vita.
La forma primaria di paura nei bambini è la perdita del contatto fisico con la figura materna. Intorno ai 9 mesi subentra la paura dell’estraneo. A 12-18 mesi si può osservare la paura della separazione, che raggiunge il suo apice intorno al 2°- 3° anno di vita.
Al contempo, superato il primo anno d’età, i bambini affinano la loro competenza nella lettura delle espressioni del volto. Queste influenzano la percezione di pericolosità o sicurezza dell’ambiente e aiutano il bambino a costruire i suoi schemi di percezione del mondo più o meno pericoloso o interessante a seconda dell’atteggiamento delle persone che li circondano.
Dai 3 ai 5 anni
Intorno ai 3-5 anni si possono riscontrare diversi tipi di paura: del temporale, del buio, dei mostri, degli animali, elementi che affascinano ed al tempo stesso spaventano, ma anche paura dei pericoli fisici, di ferirsi, di ammalarsi.
Queste paure iniziano a manifestarsi nel momento in cui il bambino interagisce con l’ambiente ampliando i propri interessi, esplorando e percependo la propria autonomia e indipendenza. Le novità destabilizzano e di conseguenza spaventano, è essenziale in questi frangenti la presenza di un adulto che possa supportare il bambino per ridurne il livello di attivazione e aiutarlo a comprendere ciò che sta accadendo.
In età prescolare ritorna la paura del distacco dal genitore e dell’abbandono legata all’inizio della vita scolastica e delle attività sportive. Altra paura tipica di questa età è quella dei personaggi di fiabe e racconti come l’uomo nero o il lupo cattivo.
Dai 6 anni all’adolescenza
Tra i 6 e i 12 anni alcune paure degli anni precedenti possono essere padroneggiate perché ora il bambino ha maggiori competenze, ma proprio perché capisce di più, può cogliere altre minacce come quella dei ladri e dei rapitori, dei danni fisici, delle malattie, del sangue, delle iniezioni, degli eventi naturali, della morte e dell’abbandono.
A questo punto, durante la fase adolescenziale, fanno la loro comparsa i timori legati al proprio ruolo sociale, come scolaro per esempio, e alle interazioni con gli altri: esami, litigi, sopraffazioni, nonché la paura di essere rifiutato dai compagni.
Come si manifesta la paura nei bambini: strategie utili per aiutarli ad affrontarla
Per Maria Montessori, le paure non sono altro che reazioni naturali, da parte dei bambini, dovute alla mancanza di comprensione o di controllo di una situazione. Le manifestazioni possono essere varie, dalle più comuni ed esplicite quali piangere, urlare, immobilizzarsi, nascondersi o scappare, a cambiamenti di atteggiamento insoliti e improvvisi. Per esempio, non voler restare da soli, non voler dormire nel proprio lettino o soffrire di insonnia. Oppure diventare improvvisamente scontrosi o irritabili, fare la pipì addosso o richiedere un costante contatto con la mamma o il papà.
Come anticipato nel precedente paragrafo, è importante che il genitore o adulto di riferimento non inibisca la paura, svalutando l’emozione che il bambino sta provando, ma piuttosto la accolga, aiutandolo a riconoscerla ed elaborarla così da affrontarla insieme.
Accogliere la paura
Un primo passo potrebbe essere spronare i propri figli a comunicare ed esprimere ciò che provano, chiedendo loro di raccontare cosa li preoccupa o spaventa. Invece che tentare di distrarli, cambiando argomento o ignorando la richiesta d’attenzione, la strategia più efficace è mostrare interesse e aiutare i propri figli a condividere ciò che hanno dentro: chiedete loro, ad esempio, come sono fatti questi “mostri”, dove li vedono, raccontate che anche voi a volte avete paura e che non è affatto qualcosa di sbagliato o anormale.
È importante dunque “sintonizzarsi” con i propri figli ed accogliere e validare le loro paure e preoccupazioni, senza giudizio e senza minimizzarne il contenuto. Sentirsi accolti, infatti, produce effetti positivi, permettendo al bambino di affrontare e gestire più facilmente il problema.
Il ruolo del genitore
Un genitore può spesso involontariamente sminuire e screditare le paure del proprio figlio, pensando invece così di rassicurarlo; per esempio rispondendo con frasi come: “ma di cosa hai paura? Non dire sciocchezze, non c’è nulla!”. Invece è fondamentale evitare ogni forma di giudizio, perché anche se a noi adulti le paure di un bambino possono apparire spesso irrazionali e insensate, ciò che provano è reale, dunque estremamente importante.
Esistono diversi strumenti che possono aiutare il bambino ad affrontare e ad elaborare le sue paure: uno di questi è il raccontargli delle favole prima di andare a letto. Le favole rappresentano una risorsa importante che permette al bambino di identificarsi, riflettere sulle sue paure, comprendere che sono comuni e naturali ed è possibile affrontarle.
Inoltre, l’introduzione di alcuni rituali legati al contesto temuto può essere di grande aiuto: se, ad esempio, la paura del bambino è relativa al momento in cui deve andare a letto, è molto utile creare dei rituali della buonanotte che possano aiutarlo a gestire e contenere il suo vissuto emotivo e trasmettergli maggiore sicurezza (ad esempio accompagnarlo nella sua stanza, il racconto della favola, le coccole nel letto, etc.).
L’esposizione graduale
A volte, come ci spiega il dottor Alessandro Minutiello, psicologo e psicoterapeuta del CRC, è possibile esporre il bambino gradualmente all’oggetto della sua paura: per esempio, se ha paura di un animale domestico, conoscere il cagnolino o il gattino di un amico o conoscente e passarci del tempo insieme, potrebbe aiutarlo a comprendere che non c’è motivo di sentirsi in pericolo. Allo stesso modo se ciò che teme è il buio, la soluzione potrebbe essere mettere delle luci soffuse nella sua cameretta, se, invece, ciò che teme è l’abbandono, potrebbe essere utile giocare a nascondino o allontanarsi spiegandogli cosa farà il genitore e quando tornerà da lui.
Dal punto di vista neurobiologico, l’esposizione a stimoli che inducono paura può diminuire gradualmente l’attivazione emotiva rispetto a questi ultimi. L’amigdala, infatti, impara solo quando è completamente attivata, quindi quando individua qualcosa che considera pericoloso e prova paura. Evitare sistematicamente ciò che si teme, fa sì che l’amigdala continui a “percepirlo” erroneamente minaccioso e per questo si attivi provocando paura.
Per questo, una volta individuato l’elemento che provoca la reazione di paura, la terapia cognitivo comportamentale suggerisce di far sì che il bambino rimanga in presenza dello stimolo attivatore finché gradualmente non percepirà una riduzione dell’intensità della paura e un maggiore senso di sicurezza.
Questo processo permette all’amigdala di apprendere che la paura non è giustificata, che può imparare che lo stimolo minaccioso non rappresenta realmente un pericolo. Attraverso la ripetizione, svilupperà nuovi ricordi e nuove esperienze che permetteranno all’individuo di apprendere sempre di più a ridurre l’attivazione della paura e padroneggiarla in modo efficace.
Come agisce la paura quando è presente un disturbo del neurosviluppo?
I bambini con disturbi del neurosviluppo come ASD e ADHD faticano a regolare le emozioni a causa di deficit nell’area delle abilità cognitive. Questo può portare a difficoltà relazionali e a problematiche nel contesto sociale e scolastico, influendo negativamente sul benessere psicologico e sullo sviluppo emotivo.
In questo contesto è stato ideato al CRC un laboratorio con un focus specifico sulla paura, pensato per supportare i bambini nell’acquisire una maggiore consapevolezza e conoscenza del proprio mondo interiore. L’obiettivo era aiutarli a riconoscere e comprendere le proprie emozioni, in particolare la paura, attraverso attività pratiche che li coinvolgessero direttamente. Come? Utilizzando esempi di vita quotidiana, nei quali sperimentano comunemente la paura, per esempio al buio, in presenza di rumori forti o al momento della separazione dai genitori.
Il laboratorio del CRC
Durante il laboratorio, ai partecipanti veniva chiesto di riflettere collettivamente sull’utilità di questa emozione e sulle sue possibili conseguenze. Attraverso discussioni in gruppo, i bambini imparavano a riconoscere la funzione protettiva della paura, ma anche come essa possa a volte essere ingannevole.
Dopo aver scritto su un foglietto di carta le proprie paure, ogni bambino poteva leggerle ad alta voce, condividendole con gli altri. Una volta riflettuto se si trattava di una paura “che serve” (quelle che ci proteggono da pericoli reali) o di una paura “che non serve” (quelle che non hanno una base oggettiva), il foglietto veniva incollato su un tabellone diviso a metà (paure che servono vs. paure che non servono).
Al termine dell’attività, ogni partecipante aveva l’opportunità di raccontare al gruppo le proprie esperienze, creando uno spazio sicuro per l’espressione e la riflessione. L’obiettivo di questa condivisione era duplice: da un lato, permettere ai bambini di analizzare le proprie emozioni con il supporto dei coetanei e degli educatori; dall’altro, allenare la parte «pensante» della mente a discriminare tra un falso allarme e un pericolo reale, rafforzando così la capacità di autoregolazione emotiva e il senso di controllo. In questo modo, il laboratorio mirava non solo a educare i bambini sulla natura della paura, ma anche a promuovere competenze cognitive ed emotive che li aiutassero a gestirla in modo più consapevole e costruttivo.